Disegno di Danilo Paparelli |
Siamo al mare, in spiaggia. Squilla il cellulare. Lo lascerei
volentieri a casa, il telefonino, sono una che chiama il minimo
indispensabile, e le conversazioni le faccio solitamente brevi,
brevissime. Se poi sono in vacanza, mi piacerebbe tanto essere
irreperibile, come quando gli apparecchi di telefonia mobile ancora
non esistevano. Comunque, mi tocca portarmelo dietro. Non si sa mai.
Emergenze da casa, i genitori, queste cose qui.
Allora, squilla il cellulare. Voce maschile, accento mediorientale.
“Sì,
pronto?” “Pronto. Volevo fissare l'appuntamento”. “...”
“Si, devo parlare con l'imam. E' per la circoncisione del bambino”.
“Credo che abbia sbagliato numero”. “Ah. Allora niente. Scusa”.
Di tutto il breve dialogo, quello che mi ha lasciata più perplessa è
stato il fatto che l'uomo parlasse in italiano pensando di
rivolgersi, presumo, ad una moschea o ad un centro musulmano. In ogni
caso, una telefonata così, della serie “ho sbagliato numero”, è
stata anche divertente.
L'uomo che cercava l'imam è stato educato. Non tutti quelli che
compongono un numero errato lo sono altrettanto. Ci sono infatti
quelli che se la prendono se risponde la persona diversa da quella
che era l'oggetto del loro desiderio. E non se ne capacitano, non se
ne fanno una ragione.
“Ma
non è Carlo?” “No, ha sbagliato” rispondo con la mia voce,
credo, femminile. “Ma è sicuro?” “Sì”. “Ma come è
possibile?” Miiiii, niente, non ce la fa. “Ha sbagliato!”
(dico, con tono piuttosto alterato). “Ah. Vabbè. Strano, però. Il
numero è quello giusto”. A questo punto, di solito, chiudo la
conversazione. Tanto non c'è verso.
C'è
stato un periodo che di prima mattina chiamavano al fisso di casa.
Ordinavano o chiedevano di poter ritirare pacchi di mangimi, cereali,
granaglie. Quando finalmente qualcuno ha specificato con chi
intendeva interloquire, si è svelato l'arcano. Sbagliavano il
prefisso, il resto del numero era proprio lo stesso.
Però tutti, ma proprio tutti, restavano mortificatissimi per il
disguido, scusandosi oltre il dovuto.
Non
sto a dilungarmi, invece, sulle telefonate dei call center.
Fastidiose, sempre. Cerco comunque di rispondere educatamente. E'
gente che lavora, spesso in orari crudeli, quando dovrebbero essere a
casa a cena con i figli o comunque a fare qualcos'altro, non a
prendersi gli insulti da parte di sconosciuti per uno stipendio
ridicolo. Uomini e donne che parlano con toni di voce dimessi, oppure
esageratamente squillanti, che storpiano il nome o il cognome.
Inflessione dialettale laziale, per la maggior parte, o dell'est
europeo. Mai capitato di sentire un operatore con accento piemontese.
Mi
piace finire riprendendo parte di un famoso sketch di Carlo
Verdone, quello della telefonata notturna:
“Pronto?
Pronto? Pronto?! ...Pronto!? Chi è? Chi è?! Adelina? Adelina chi?
ADELINA CHI??? 'A sorella d' Attilio? Ma Attilio chi? ATTILIO CHI?
Ma
con chi vuo' parla' lei? CON CHI VUOLE PARLARE LEI? Zia Maria? Zia
Maria è morta...So' cinqu'anni che è morta? De che? Non lo so...NON
LO SO! So che una mattina s'è alzata, è andata al bagno e poi è
morta...Ma non lo so.
Ma
che gli doveva dire? CHE GLI DOVEVA DIRE? Ma m'o dica a me io sono il
nipote...Sono il nipote! M'o dica a me... Ma non glielo può dire a
lei! Come perché? Perché è morta! M'o dica a me...Va beh allora
no, allora non è morta, non è morta, è viva, sta di là...
Ma
scherzo. Scherzavo è morta. Ma me lo dica a me. Ma che gli doveva
di'? Chi è morto? Palmiero? È morto Palmiero? Quando? Quando è
morto? Stamattina? Dio che notizia? Ma davero? Ma come è morto? Nel
sonno? Mannaggia...stava sempre a dormi' quello. Io glielo dicevo “Ma
che te dormi?!”. Ma così senza motivo? SENZA MOTIVO?!?
Mannaggia...”
Che
terminava, per chi non ricordasse, così: “Scusi
che numero ha fatto lei? 3275636..no questo è 637...no di niente,
casa Ferranza questa. Ha sbagliato. Di niente di niente di niente,
arrivederci, no si figuri, anzi...”.
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