mercoledì 10 settembre 2014

Al mare da piccola

Disegno di Danilo Paparelli

Se solo fosse dipeso da me, sarei stata in acqua ventiquattrore su ventiquattro. Andare al mare significava “entrarci” proprio nel mare, nient'altro aveva senso. Non me ne importava niente di giocare con la sabbia, che essendo una bambina tutta pulitina e schizzinosa, trovavo sporca e indecente. Il fatto che si appiccicasse dappertutto, si insinuasse all'interno del costumino, mi dava molto fastidio. Non li potevo neanche vedere gli altri bambini che si facevano seppellire nella sabbia o che si rotolavano sul bagnasciuga dove è ancora più fine e appiccicaticcia.
Invece, non dipendeva da me. Dovevo ubbidire al diktat materno: prima si digerisce la colazione, poi – ma dopo un bel po' – si fa il bagno. Così, in media, mi toccava aspettare un periodo eterno, sulle due o tre ore, a seconda di quello che avevo ingerito. Non tutte le madri erano così ligie alle tempistiche, ma la gran parte sì. Era una vera tortura. Vedere l'acqua lì, davanti a me, invitante, meglio ancora se con il moto ondoso in aumento, era proprio troppo. E mi annoiavo mortalmente, mentre secchiello e paletta giacevano inanimi, senza alcuna attrattiva.
Ma non solo colazioni o pranzi inibivano gli allegri sguazzamenti in acqua. C'erano anche le merende. Poteva trattarsi anche solo di un gelatino o addirittura di un ghiacciolo, non aveva importanza. Anche in questo caso, occorreva attendere la digestione completa dei pochi millilitri di acqua colorata ghiacciata per poter andare a bagnarsi.
A volte c'erano i compromessi. “Sì, è passata quasi un'ora, ti puoi bagnare fino alle ginocchia...”. Sai che roba! Io ci volevo entrare tutta in acqua, ficcarci dentro la testa, fino a sparire completamente, ma non si poteva. Che poi tutti questi bambini che annegavano perché facevano il bagno subito dopo aver mangiato, non è che ce ne fossero così tanti. Magari annegavano per altri motivi, ma certo non perché si erano succhiati un ghiacciolo. Però le madri iperprotettive, una categoria tipicamente italiana, che è sempre esistita e sempre ci sarà, erano inflessibili. “Ho detto di no e piantala di essere noiosa”.
A parte perché non potevo fare il bagno, potevo essere noiosa anche per altre ragioni. Una di queste poteva essere il costumino da bagno. Ne avevo uno fatto a mano. Di lana. Ero molto piccola, ma me lo ricordo ancora, è stata una delle cose che ho più odiato nella mia vita. Perché dovevo mettere quella cosa lì, che pungeva da asciutto e pesava un quintale da bagnato? Nel pleistocene, quando avevo quattro o cinque anni io, si usava confezionare abitini per bambini in casa, era una cosa piuttosto normale. Ce n'erano altri di bambini che avevano costumini home-made, credo. Però il mio costumino in lana mi ha segnato l'infanzia.

Lo sguardo triste, avvilito, sconsolato, che ci si scambiava con altri bambini costretti ad attendere l'infinito tempo della completa digestione è rimasto scolpito nei miei ricordi infantili. Però, se avessi un figlio, gli farei fare il bagno senza aspettare il periodo canonico ?

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