Noi sì che siamo fortunati, vivendo vicini ad Alba, patria del pregiato bianco: il “Tuber magnatum Pico”, che così non siamo costretti a sciropparci chilometri e chilometri di strada pur di riuscire ad acquistarne uno decente, seppur a caro prezzo. Sebbene quest'anno pare sia un'ottima annata e i preziosi funghi sono più economici degli anni scorsi.
Certo, il termine
“economico” per un pallino che sembra (ma non è) una piccola
patata, che non si deve assolutamente cuocere, che si deve consumare
entro un limite massimo di dieci giorni dall'acquisto, che deve
essere servito a crudo solo tagliato a lamelline fini fini, non
sembrerebbe il più adatto. Si tratta di uno sfizio, caro e salato.
Però se l'autunno quando arriva ti mette l'angoscia, puoi anche
pensare che oltre alla nebbia ed ai primi freddi c'è anche il
tartufo a renderti la vita più lieve.
Le scuole di pensiero
tartufaie si dividono in bianco vs. nero. Il primo è il
Bianco d’Alba o di Acqualagna. Di qui non si scappa, perché
entrambi appartengono alla specie botanica “Tuber magnatum Pico”.
Per il nero invece si possono trovare nove qualità diverse, dal più
prezioso al più scadente, dove il migliore è il nero pregiato di
Norcia “Tuber melanosporum Vitt”. La differenza fra i due tipi è
data essenzialmente dal gusto personale. Certo il bianco è più
caro, ma non è detto che sia anche il migliore. Ha un profumo
(odore?) più pregnante rispetto a quello nero, ma il sapore, alla
fine si equivale fra i due. Si consumano entrambi alla stessa
maniera, cioè, come detto precedentemente, a crudo, sebbene il nero
si possa grattugiare a differenza del “Pico” che deve essere
rigorosamente tagliato a fettine con l'apposito attrezzo che, guarda
caso, si chiama “taglia-tartufi”.
E poi non è che i
tartufi vadano su tutto. L'alimento che li accoglie deve essere
neutro, al fine di magnificare il suo regale sapore. Per i primi,
tajarin o pasta all'uovo, in alternativa riso, rigorosamente in
bianco (un accenno di zafferano, sarà consentito, mah?). Cui si
aggiungono i grandi classici come le uova al tegamino e la carne di
vitello a crudo battuta al coltello, o tagliata fine fine.
Personalmente non mi convince l'abbinamento con la fonduta: troppo
gustosa, mi pare soffocare il fungo, che con tutto quello che costa,
non meriterebbe una fine così anonima.
L'aspetto negativo di
tutta la faccenda, come detto, è il prezzo. Non tutti si possono
permettere una simile cifra per quello che può essere considerato un
mero sfizio. Tant'è che c'è chi passa direttamente a denigrare il
tartufo bianco, dicendo che puzza, che non sa di niente, che è tutta
una montatura. Sarà, ma la cultura del “Pico” ha enormi risvolti
sull'economia di molte località italiane, che a partire dall'esempio
di Alba ( per la lungimiranza di Giacomo Morra ) e Acqualagna,
passando appunto da Norcia e Città di Castello, si stanno facendo
“furbe” e organizzano sagre, mostre a tema (in tempi non recenti
persino divertenti esposizioni di vignette a tema) e festicciole
mangerecce piazzandoci anche i tartufi, quelli neri più semplici da
trovare e naturalmente i bianchi più preziosi, che elevano di molto
i bilanci delle amministrazioni e le tasche dei commercianti che le
organizzano. Il che, comunque, non fa mai male, con i tempi che
corrono e riscuotono sempre grandissimi successi di pubblico che
accorre dalle località più disparate e lontane.
Va bene. Con tutto questo
scrivere mi sta venendo l'acquolina in bocca. Ma se proprio voglio
sfiorare la glorificazione del tartufo, allora devo aggiungerci un
ultimo elemento fondamentale, alla immaginifica cena che andrò
questa sera a consumare con il fungo virtuale: un bel bicchiere (o
anche due) di Barbaresco o di Barolo. Ecco: sono soddisfatta.
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