sabato 10 maggio 2014

Arte contemporanea: cosa c'è da capire?

Disegno di Danilo Paparelli


Non sono una studiosa dell'arte, la seguo da semplice appassionata, ed in tutte le sue forme. Per me il grande equivoco è quello di volere distinguere in senso manicheo quella che è stata l'arte passata, classica, e l'arte contemporanea. Solo la prima di dovrebbe fregiare del titolo di “Arte”, di “Opera d'Arte”, perché “si capisce”. Un semplicismo, questo.

Ad uno sguardo superficiale, se ci troviamo di fronte, per esempio, al “Martirio di San Lorenzo”, opera di Tiziano che è stata esposta ad Alba, la Pala illustra, banalmente, la morte del santo. Sì certo, c'è la tecnica, “è dipinto bene”. Ma non è tutto qui. Il quadro parla anche d'altro, di molto d'altro (vedi infatti http://www.gazzettadalba.it/2012/05/il-martirio-di-sanlorenzo/).

Certo, molte opere di arte contemporanea sono “furbe” e “cialtrone”, altre fanno parte della categoria “questo lo sapevo fare anche io” (peccato però che ci abbia pensato prima qualcun altro), ma non è tutto così. In alcuni casi dietro ci sono delle intuizioni sorprendenti, che ribaltano la visione comune, ma sono talmente innovative che si fatica a capirle, anche se spesso si tratta solo di una questione di tempo. Occorre ricordare che anche i primi impressionisti non furono “capiti” ed osteggiati, mentre ora sono considerati addirittura dei “classici”.

Un'altra differenza fra l'arte “classica” e quella moderna sta nel tipo di sensazioni che queste ultime trasmettono. Alcune sono tattili, come per le lumache, altre ludiche, altre visive con contaminazioni cinematografiche, altre estremamente emotive, altre divertenti, altre ancora coinvolgenti. Spesso entrare in un museo di arte contemporanea significa quasi visitare un “luna park” ricco di sorprese che non t’aspetti: pavimenti che traballano, tunnel con la pioggia che non ti bagna, percorsi al buio, cavalli imbalsamati appesi al soffitto, enormi superfici specchianti, materassi congelati da serpentine refrigeranti, foglie d’insalata compresse da due mattoni…e così via.

Occorre poi anche concedere alla modernità il necessario passare del tempo che permetta di “abituarsi”, ovvero di riuscire a capire, immediatamente, senza tanti ragionamenti, che forse “quella cosa lì” non è un sasso buttato per terra – vedi Richard Long (una cui opera è stata ospitata al forte di Vinadio), le cui opere interagiscono con il paesaggio riorganizzandone lo spazio e i materiali (pietre, legno, zolle erbose, foglie, fango, ecc.) in nuove forme essenziali (cerchi, linee, brevi percorsi a zig-zag) – ma c'è ben di più.

Tutta l'arte può convivere, insieme, benissimo. Quindi posso entrare agli Uffizi e rimanere letteralmente estasiata nell'ammirare un quadro del Cinquecento (uno qualsiasi, a caso, perché sono tutti bellissimi), e poi visitare la Pinacoteca Agnelli e sorridere, divertirmi quasi, nel vedere appesi al soffitto gli scheletri di Titti e Silvestro (di Hyungkoo Lee) appartenenti alla collezione di Damien Hirst in una mostra al Lingotto di Torino nel 2012.

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