E' iniziato il conto alla rovescia in vista del Festival di Sanremo:
un evento imprescindibile per l'Italia intera. O lo snobbi, o lo
guardi. In ogni caso, ne parli. Il festival non può passare
inosservato, intorno ci girano troppe cose.
Principalmente, c'è il business della canzone. Sanremo è nato per
quello: la vetrina della canzone italiana. L'altra sera in
televisione c'era una trasmissione che ricordava tutti i successi che
sono nati lì. Tantissimi i cantanti, da Eros Ramazzotti a Zucchero,
a Vasco Rossi a Laura Pausini che da Sanremo sono partiti, e non si
sono fermati più, e altri, come i Jalisse, che saranno ricordati
solo per aver vinto un'edizione e poi essere spariti per sempre.
Poi, capita che le canzoni finiscano in secondo piano, oscurate da un
evento forse fortuito, forse studiato nei minimi particolari a
tavolino. Negli anni passati è stata la farfallina di Belen,
quest'anno chissà. L'importante è che sia qualcosa che faccia
discutere, nel bene e nel male. Con la complicità di tutti. Qualche
decennio fa partecipavo ai cosiddetti “gruppi d'ascolto”. Ci si
trovava a casa con gli amici, ci sintonizzavamo su Rai1 e si
commentava. Allora l'evento “scandaloso” fu il cedimento della
spallina del vestito dell'inglesina Patsy Kensit (nel frattempo
diventata una casalinga), che di per sé durò un attimo ed era quasi
impercettibile ad occhio nudo. Era necessario rivedere la scena al
rallentatore per intravedere qualcosa, appena appena, ma tanto bastò,
se ancora adesso ne stiamo a parlare.
Recarsi a Sanremo nei giorni del festival è un'esperienza
sconvolgente. Personaggi improbabili, gente che va lì ogni anno solo
per con lo scopo di essere ripreso per qualche secondo dalle
televisioni, altri pseudo artisti che sperano di essere notati dal
produttore, persone ridicole e probabilmente non del tutto in sé. Un
enorme carnevale (il periodo è poi quello), un mondo irreale che
nasce e muore nel giro di cinque giorni.
Ci sono stata molte volte all'Ariston, in occasione del Tenco,
“l'altro” festival, dedicato alla canzone d'autore. Il teatro è
leggermente più piccolo di quello che appare alla televisione, ma
pur sempre imponente. Le poltrone sono un po' demodé, ma comode, e
si gode di un'ottima visuale in quasi tutti gli ordini di posti e,
cosa più importante, di una spettacolare acustica. I soffitti,
particolare che purtroppo non risalta mai nelle riprese televisive,
riprendono le maschere italiane ed sono opera dell'artista Carlo
Cuneo.
Il Tenco è tutt'altra cosa. Lì la gente non va per farsi notare, ma
per ascoltare canzoni che, senza voler fare torto a nessuno, sono più
belle di quelle del festival più popolare. Ci si conosce tutti, sono
bandite le formalità. Gli artisti che si esibiscono non hanno un
cachet, ma un semplice rimborso spese e cantano e suonano come se lo
facessero a casa loro.
Poi (cosa impagabile), al termine dello spettacolo, ci si ritrovava
con i cantanti e i musicisti al Roof, dove durante il festival
tradizionale sisvolgono le conferenze stampa. E lì iniziava il
bello, si cenava al tavolo con Francesco Guccini o con Samuele
Bersani, con Patty Smith o Gilberto Gil, e poi si cantava, si
ballava, si faceva festa tutti insieme, come vecchi amici, senza
snobismi. Così è stato per molti anni, ma la crisi ha intaccato
anche il Tenco, che nelle ultime edizione ha subito un
ridimensionamento e un nuovo di riproporsi, ritrovandosi non solo più
a Sanremo ma anche in altri teatri sparsi per l'Italia. E sempre con
un grande riscontro da parte degli affezionati alla canzone d'autore.
Il Festival di Sanremo, invece, con l’attenzione mediatica che
desta e soprattutto il denaro che fa girare, continuerà in eterno.
Questo è certo.
Nessun commento:
Posta un commento