Inerpicandosi in auto per una strada che da Bernezzo (CN) porta in su, sempre più in su, in mezzo ai boschi, chilometro dopo chilometro, ecco che si finisce davanti a qualcosa d'inatteso. Il monumento alla Libertà se ne sta lì come una punta di cometa caduta dal cielo. Perché proprio lì? Non ne so nulla di più.
mercoledì 30 aprile 2014
lunedì 28 aprile 2014
40 ANNI DI TERRAVIVA
Sabato sono stati festeggiati a Busca (CN) i 40 anni di Terraviva, azienda cooperativa nata nel 1974 dal progetto di 15 allevatori della Razza Bovina Piemontese per valorizzare il Bovino Piemontese e le sue carni magre, tenere e saporite.
La Cooperativa ha nel corso degli anni sviluppato la propria attività anche con la vendita al dettaglio e affermando il proprio prodotto sul territorio provinciale con diversi punti vendita-macellerie a marchio TERRAVIVA, che impiega 36 dipendenti.
Alla conferenza stampa hanno partecipato Angelo Rosso, presidente della Cooperativa, Michelangelo Pellegrino, Marco Rosso e personaggi politici provinciali.
Marco Rosso ha poi illustrato il progetto "TU DI CHE TAGLIO SEI" con la foodblogger Federica Gelso Giuliani impegnata nella realizzazione di ricette e videoricette su ogni taglio di carne bovina di razza piemontese, in collaborazione con il disegnatore Danilo Paparelli che ha ideato per Terraviva il macellaio di fiducia. Il cui nome "Antonello esperto di coltello”, è stato pensato da Simona Bertolini, vincitrice del contest #tudichetagliosei, e selezionato dalla giuria di Terraviva come il più adatto tra le numerose proposte pervenute.
La serata si è conclusa con un affollato concerto dei Trelilu.
Altro ancora (comprese le ricette!) le potete trovare nel BLOG di Federica Gelso Giuliani!
Altro ancora (comprese le ricette!) le potete trovare nel BLOG di Federica Gelso Giuliani!
Marco Rosso, Federica Giuliani, Danilo Paparelli |
Simona Bertolini |
sabato 26 aprile 2014
I balocchi dell'infanzia ci attraggono sempre, a dispetto del detto che “il bel gioco dura poco”
Disegno di Danilo Paparelli |
Tato e Tata sono state le uniche due bambole che hanno fatto breccia
nel mio cuore. In quanto bambina, avrei dovuto amare le bambole,
invece mi lasciavano piuttosto indifferente.
Tato e Tata, pur avendo un nome simile, non si assomigliavano per
niente. Il primo era un bambolotto del tipo neonato, con la testa e
gli arti rigidi, in plastica, ed il tronco molle, di stoffa imbottita
di pezzettini di gommapiuma. Tata, invece, era una bambina in panno,
che un po' mi assomigliava.
Una gran bella bambola che mi era stata regalata era Valentina. Quasi
alta come me, aveva un dischetto nella schiena, con il filo che se lo
tiravi, lei iniziava a parlare: “Io sono Valentina. Vuoi giocare
con me? Vuoi fare la mia mamma?” No, la mamma non la volevo fare.
Avevo tre o quattro anni, le mamme erano più vecchie.
E poi c'era Petula. Aveva un bottoncino nella pancia, che se lo
schiacciavi diceva cose senza senso: “Mamma (e dàgli) mi porti
allo zoo? Ah ah ah, che ridere, mi fai il solletico! Mamma, mi scappa
la pipì”. Cose così. E sempre infilandoci dentro la questione
della “mamma”. Nelle bambine, soprattutto quelle di una volta,
veniva inculcato il concetto della maternità fin dalla più tenera
età. Ma con me non ha funzionato. Io facevo finta di essere un
cowboy. Pistola, fucilino, cappello, avevo tutto l'occorrente.
Capitolo a parte, le Barbie. Ero già grandicella quando c'è stato
il boom delle Barbie ma, sebbene qui il concetto di fondo fosse
diverso (non più bambina – mamma, ma bambina- amica) anche loro
non mi hanno conquistata. A differenza del gioco da tavolo “Barbie
– La reginetta del ballo” che mi piaceva tantissimo. Lo scopo del
gioco era quello di far arrivare Barbie al ballo finale del college,
possibilmente attrezzata di vestito, ammennicoli vari (anello,
tessera di un club) e fidanzato. Fra questi c'era da scegliere fra
l'ovvio Ken – mai piaciuto – Allan, Tom - l'occhialuto, il mio
preferito – e Bob. Ci ho giocato fino allo sfinimento. Persino con
il mio fratello più piccolo, che ci giocava giusto per farmi
piacere, ma non credo che ci tenesse molto a fidanzarsi con Ken e
andare al ballo indossando il vestito “Paradiso rosa”.
C'erano anche i giochi che mi facevano perdere la pazienza. I
chiodini “Coloredo”, e i Lego, mi facevano veramente venire il
nervoso. Non riuscivo mai a combinare niente, erano la mia
disperazione. Tant'è che preferivo giocare con giochi immaginari,
tipo il teatrino, dove mi inventavo tutti i personaggi e mettevo su
delle storie. Forse, il mio divertimento preferito.
Ci sarebbero tanti ricordi da rispolverare, ma non c'è spazio
sufficiente. Alcuni giochi infantili resteranno per sempre nella
memoria delle cose andate, del tempo che fu. Ma la bambina che c'è
in me si risveglia quando vede un giocattolo o, meglio, un peluche,
che diventa ai miei occhi irresistibile: Lo voglio! Lo voglio!
Anche perché, va detto, i peluches moderni sono molto, ma molto più
belli di quelli di quarant'anni fa!
mercoledì 23 aprile 2014
martedì 22 aprile 2014
IL NUOVO ALBUM DI CAPAREZZA!
Oggi esce il nuovo album di Caparezza MUSEICA , anticipato dal singolo "Non me lo posso permettere".
18 canzoni ispirate dai quadri di Goya, Van Gogh, Dalì, Bacon...
18 canzoni ispirate dai quadri di Goya, Van Gogh, Dalì, Bacon...
sabato 19 aprile 2014
Prima cotta, poi cruda realtà...
Disegno di Danilo Paparelli |
Quando frequentavo le elementari io, le classi erano ancora separate
in maschili e femminili. Addirittura le entrate della scuola erano
rigidamente separate. Quella grande, centrale, con un largo portone,
dalla quale entravano i maschietti, e quella piccola, nella via
laterale, da dove entravano e uscivano le femminucce. E poi i maschi
avevano maestri maschi, e le femmine maestre femmine, con poche
eccezioni.
Le uniche classi miste erano, chissà perché, le cosiddette
“differenziali”, ovvero classi che raccoglievano alunni con
difficoltà di vario genere: di apprendimento, di disagio sociale, o
anche solo quelli troppo vivaci.
Questo per dire che fino agli undici anni le bambine della mia
generazione passavano gran parte delle loro giornate in una sorta di
apartheid. Le classi maschili e femminili erano dislocate in due ali
differenti della scuola. C'era quasi una linea di frontiera che
impediva di andare oltre. Inoltre, a quei tempi, non è che si
potesse girare liberamente per i corridoi della scuola. Si usciva di
classe da sole soltanto per andare in bagno, o perché la maestra
faceva portare un foglio, un libro o un quaderno alla maestra di due
o tre classi più in là. Quindi i maschietti era quasi come se non
esistessero.
Ma negli ultimi anni, quando chi abitava nelle vicinanze della scuola
aveva il permesso di tornare a casa da solo, il tratto di strada,
breve, poteva essere percorso in compagnia del bambino che usciva dal
portone principale. E ce ne erano due di bambini che facevano la mia
stessa strada. Uno coi capelli neri, che non ricordo come si
chiamava, e l'altro, biondino, Carlo. Ovviamente a me piaceva quello
che non mi filava per niente, Carlo, mentre il brunetto, che era
decisamente più simpatico con me, non lo avevo minimamente preso in
considerazione.
Avevamo nove, dieci anni. Si può parlare di una cotta? Non saprei. A
quei tempi si era molto più bambini dei bambini di oggi. Le cose che
ora si scoprono a sette o otto anni, allora, forse, venivamo a
saperle molto più in là. Quindi tutto restò molto sfumato. Qualche
confidenza: a me piace questo, a me piace quello, si potrebbe andare
insieme ai giardinetti, o magari fare la merenda insieme.
Ma non successe nulla. Si continuava a fare la strada insieme, io il
brunetto e Carlo, e basta.
Carlo non mi invitò mai a mangiare neppure una girella davanti alla
TV dei Ragazzi. Non mi offrì neppure un ghiacciolo alla Coca Cola.
Non mi imprestò nessun Topolino che io mi ero persa, non mi regalò
nessuna sorpresina di quelle che c'erano nei distributori davanti
alle latterie. Neanche un “cicles”.
Poi andammo in prima media, dove c'erano finalmente le classi miste.
Ma il brunetto e Carlo furono iscritti dai genitori in una scuola
diversa dalla mia e, sebbene abitassimo a pochi metri di distanza
l'una dagli altri non ci vedemmo più.
Carlo lo incontrai al mare, circa dieci anni dopo. Sempre un bel
tipo, ma antipaticissimo.
Il brunetto è sparito per sempre.
venerdì 18 aprile 2014
mercoledì 16 aprile 2014
Un obiettivo per tutti: essere felici come una Pasqua !
Disegno di Danilo Paparelli |
Che Pasqua sarà quest'anno? Fresca ma soleggiata, oppure umida e pungente, o calda e rassicurante? A prescindere dal tempo che giocoforza ci toccherà accettare, quel che è certa è l'attesa, quasi elettrizzante, che sempre precede questa festività.
Tutti aspettano Pasqua come la prima vera piccola vacanza dopo le feste natalizie. Sembra che si debba fare chissà cosa, ma in fondo c'è un solo giorno in più rispetto al normale fine settimana, a meno che non si aggiungano altri giorni di ferie, ma questo non tutti possono farlo. Così, la domanda ricorrente già un mese prima è “cosa fai per Pasqua?”. Non è che in due giorni e mezzo/tre si possa fare granché. Stranamente, però, nei discorsi della gente il tempo sembra dilatarsi, o – almeno – così piacerebbe che fosse veramente.
Da piccoli si andava a fare il “sacro” picnic con i genitori ed i parenti. A Pasquetta si caricavano le automobili e si partiva, di solito per andare non tanto lontano dalla città. Era difficilissimo riuscire a trovare un posto che non fosse già affollato di gitanti, perché noi si arrivava sempre dopo, in ritardo. E così toccava accontentarsi di un fazzoletto di terreno, di solito mai pianeggiante, con tutti che si lamentavano per qualcosa. Poi, al termine di una giornata che sembrava lunghissima trascorsa tra chiacchiere, partite a carte e a pallone per i più piccoli, ci si metteva nuovamente in macchina e, per chi come noi tornava a Torino, un altro lunghissimo viaggio di tante ore, per la maggior parte del tempo fermi in coda.
Il lunedì di Pasquetta è stato anche l'occasione per le prime gite fuori porta da liceali, quando ci si emancipava appena dai genitori. Non facilissima era l'organizzazione per gli spostamenti, visto che nessuno aveva la patente, ma in qualche modo ci si arrangiava. Vuoi con i mezzi pubblici, vuoi con l'aiuto di qualche genitore che si caricava 4-5 ragazzini per volta e che trasportava fino alla casetta di campagna, dove solitamente ci si rintanava perché pioveva sempre e faceva un freddo cane.
Sotto l'aspetto del “regalo” tipico, ovvero l'uovo di cioccolato, non ricordo di aver trovato sorprese esaltanti. Il fatto stesso di non ricordarmene nemmeno una, è sintomatico. Difatti non nutrivo grandi aspettative nel mentre rompevo l'uovo, tanto più che non essendo una fanatica del cioccolato, non nutrivo grande interesse neppure per il contenitore della sorpresa.
E poi questa cosa che una grande industria dolciaria famosa in tutto il mondo abbia sdoganato la sorpresa nell'uovo rendendola permanente anziché relegata ad un solo giorno dell'anno, ha fatto sì che un po' di magia sia andata perduta per sempre.
lunedì 14 aprile 2014
LAGNASCO
Che si fa una domenica di primavera, calda e soleggiata, se non si ha la possibilità di andare al mare o in montagna? Si visitano i dintorni, a pochi chilometri di casa.
Lagnasco (CN) ospitava questo fine settimana l'annuale sagra "Fruttinfiore" che attira tanti visitatori, quelli di tipo rurale. Che si possono vedere solo in questo tipo di manifestazioni. Contadini e allevatori che acquistano prodotti che essi stessi producono, vestiti e pettinati come negli anni Settanta. Un salto nel tempo e nello spazio.
Per me che sono nata e cresciuta in una grande città, si tratta ogni volta di una meraviglia. Mi ricordano i parenti di campagna, quelli che parlavano solo in dialetto, ma con i bambini piccoli come me si sforzavano, non riuscendoci, a parlare in italiano.
venerdì 11 aprile 2014
mercoledì 9 aprile 2014
LA CONTRO COPERTINA DI TARGATOCN. LA MATITA CHE SI E' SPEZZATA
La matita che s'è spezzata. Un ricordo di mio padre. Leggi l'articolo su www.targatocn.it
martedì 8 aprile 2014
ESCHER AL FILATOIO DI CARAGLIO
Appena inaugurata ed è già un gran successo. La mostra che il Filatoio di Caraglio (promossa dall’associazione culturale Marcovaldo in collaborazione con la Fondazione Palazzo Magnani di Reggio Emilia) ospita dal 29 marzo dedicata a “L’Enigma Escher. Paradossi grafici tra arte e geometria”, con 130 opere di Maurits Cornelis Escher, è splendida.
L'artista olandese è già conosciuto dal grande pubblico perché ha beneficiato di una vasta visibilità grazie alla facile reperibilità di alcune sue opere sotto forma di gadget, quelle più famose, che sono anche esposte al Filatoio, quali "Mani che disegnano", "Relatività" , "Convesso e concavo", "Nastro di Möbius II".
Escher (1898 – 1972) prende spunto dal mondo della matematica e della geometria, ma non è noioso. Anzi. Le sue litografie, acqueforti, e stampe si sviluppano partendo da un principio razionale per poi liberarsi nella fantasia più pura, fanciullesca. Che solo i grandi artisti sanno cogliere pienamente.
Subito catturano le metamorfosi che subiscono le immagini, ma non ci si può fermare all'apparenza. Si deve anche ammirare il tratto, la tecnica, certosina, di ogni opera, anche quelle più piccole e più "semplici", che tuttavia non riescono a nascondere l'enorme lavoro di ricerca del dettaglio di Escher.
In parallelo, da vedere le opere che lo hanno ispirato. e che a sua volta ha influenzato, di Piranesi, Durer, Depero, Tato, Balla, Dalì, Victor Vasarely, Lucio Saffaro.
La mostra è curata da un comitato scientifico coordinato da Piergiorgio Odifreddi e composto da Marco Bussagli, Federico Giudiceandrea e Luigi Grasselli.
La mostra sarà visitabile fino al 29 giugno dal giovedì al sabato dalle 14,30 alle 19, la domenica e le festività infrasettimanali dalle 10 alle 19. Per informazioni telefonare allo 0171/618260 o info@marcovaldo.it.
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