Disegno di Danilo Paparelli |
Tato e Tata sono state le uniche due bambole che hanno fatto breccia
nel mio cuore. In quanto bambina, avrei dovuto amare le bambole,
invece mi lasciavano piuttosto indifferente.
Tato e Tata, pur avendo un nome simile, non si assomigliavano per
niente. Il primo era un bambolotto del tipo neonato, con la testa e
gli arti rigidi, in plastica, ed il tronco molle, di stoffa imbottita
di pezzettini di gommapiuma. Tata, invece, era una bambina in panno,
che un po' mi assomigliava.
Una gran bella bambola che mi era stata regalata era Valentina. Quasi
alta come me, aveva un dischetto nella schiena, con il filo che se lo
tiravi, lei iniziava a parlare: “Io sono Valentina. Vuoi giocare
con me? Vuoi fare la mia mamma?” No, la mamma non la volevo fare.
Avevo tre o quattro anni, le mamme erano più vecchie.
E poi c'era Petula. Aveva un bottoncino nella pancia, che se lo
schiacciavi diceva cose senza senso: “Mamma (e dàgli) mi porti
allo zoo? Ah ah ah, che ridere, mi fai il solletico! Mamma, mi scappa
la pipì”. Cose così. E sempre infilandoci dentro la questione
della “mamma”. Nelle bambine, soprattutto quelle di una volta,
veniva inculcato il concetto della maternità fin dalla più tenera
età. Ma con me non ha funzionato. Io facevo finta di essere un
cowboy. Pistola, fucilino, cappello, avevo tutto l'occorrente.
Capitolo a parte, le Barbie. Ero già grandicella quando c'è stato
il boom delle Barbie ma, sebbene qui il concetto di fondo fosse
diverso (non più bambina – mamma, ma bambina- amica) anche loro
non mi hanno conquistata. A differenza del gioco da tavolo “Barbie
– La reginetta del ballo” che mi piaceva tantissimo. Lo scopo del
gioco era quello di far arrivare Barbie al ballo finale del college,
possibilmente attrezzata di vestito, ammennicoli vari (anello,
tessera di un club) e fidanzato. Fra questi c'era da scegliere fra
l'ovvio Ken – mai piaciuto – Allan, Tom - l'occhialuto, il mio
preferito – e Bob. Ci ho giocato fino allo sfinimento. Persino con
il mio fratello più piccolo, che ci giocava giusto per farmi
piacere, ma non credo che ci tenesse molto a fidanzarsi con Ken e
andare al ballo indossando il vestito “Paradiso rosa”.
C'erano anche i giochi che mi facevano perdere la pazienza. I
chiodini “Coloredo”, e i Lego, mi facevano veramente venire il
nervoso. Non riuscivo mai a combinare niente, erano la mia
disperazione. Tant'è che preferivo giocare con giochi immaginari,
tipo il teatrino, dove mi inventavo tutti i personaggi e mettevo su
delle storie. Forse, il mio divertimento preferito.
Ci sarebbero tanti ricordi da rispolverare, ma non c'è spazio
sufficiente. Alcuni giochi infantili resteranno per sempre nella
memoria delle cose andate, del tempo che fu. Ma la bambina che c'è
in me si risveglia quando vede un giocattolo o, meglio, un peluche,
che diventa ai miei occhi irresistibile: Lo voglio! Lo voglio!
Anche perché, va detto, i peluches moderni sono molto, ma molto più
belli di quelli di quarant'anni fa!
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