sabato 26 aprile 2014

I balocchi dell'infanzia ci attraggono sempre, a dispetto del detto che “il bel gioco dura poco”

Disegno di Danilo Paparelli
Tato e Tata sono state le uniche due bambole che hanno fatto breccia nel mio cuore. In quanto bambina, avrei dovuto amare le bambole, invece mi lasciavano piuttosto indifferente.
Tato e Tata, pur avendo un nome simile, non si assomigliavano per niente. Il primo era un bambolotto del tipo neonato, con la testa e gli arti rigidi, in plastica, ed il tronco molle, di stoffa imbottita di pezzettini di gommapiuma. Tata, invece, era una bambina in panno, che un po' mi assomigliava.
Una gran bella bambola che mi era stata regalata era Valentina. Quasi alta come me, aveva un dischetto nella schiena, con il filo che se lo tiravi, lei iniziava a parlare: “Io sono Valentina. Vuoi giocare con me? Vuoi fare la mia mamma?” No, la mamma non la volevo fare. Avevo tre o quattro anni, le mamme erano più vecchie.
E poi c'era Petula. Aveva un bottoncino nella pancia, che se lo schiacciavi diceva cose senza senso: “Mamma (e dàgli) mi porti allo zoo? Ah ah ah, che ridere, mi fai il solletico! Mamma, mi scappa la pipì”. Cose così. E sempre infilandoci dentro la questione della “mamma”. Nelle bambine, soprattutto quelle di una volta, veniva inculcato il concetto della maternità fin dalla più tenera età. Ma con me non ha funzionato. Io facevo finta di essere un cowboy. Pistola, fucilino, cappello, avevo tutto l'occorrente.
Capitolo a parte, le Barbie. Ero già grandicella quando c'è stato il boom delle Barbie ma, sebbene qui il concetto di fondo fosse diverso (non più bambina – mamma, ma bambina- amica) anche loro non mi hanno conquistata. A differenza del gioco da tavolo “Barbie – La reginetta del ballo” che mi piaceva tantissimo. Lo scopo del gioco era quello di far arrivare Barbie al ballo finale del college, possibilmente attrezzata di vestito, ammennicoli vari (anello, tessera di un club) e fidanzato. Fra questi c'era da scegliere fra l'ovvio Ken – mai piaciuto – Allan, Tom - l'occhialuto, il mio preferito – e Bob. Ci ho giocato fino allo sfinimento. Persino con il mio fratello più piccolo, che ci giocava giusto per farmi piacere, ma non credo che ci tenesse molto a fidanzarsi con Ken e andare al ballo indossando il vestito “Paradiso rosa”.
C'erano anche i giochi che mi facevano perdere la pazienza. I chiodini “Coloredo”, e i Lego, mi facevano veramente venire il nervoso. Non riuscivo mai a combinare niente, erano la mia disperazione. Tant'è che preferivo giocare con giochi immaginari, tipo il teatrino, dove mi inventavo tutti i personaggi e mettevo su delle storie. Forse, il mio divertimento preferito.
Ci sarebbero tanti ricordi da rispolverare, ma non c'è spazio sufficiente. Alcuni giochi infantili resteranno per sempre nella memoria delle cose andate, del tempo che fu. Ma la bambina che c'è in me si risveglia quando vede un giocattolo o, meglio, un peluche, che diventa ai miei occhi irresistibile: Lo voglio! Lo voglio!

Anche perché, va detto, i peluches moderni sono molto, ma molto più belli di quelli di quarant'anni fa!

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